Michela Banfi, da sempre caratterizzata da una forte carica creativa fondamentale per la comprensione della sua poetica, vuole comunicare con l’osservatore in maniera decisa, energica ed espressiva all’insegna di una vitalità giocosa ed ottimistica resa attraverso l’accoglienza dei colori e del tratto armonioso.
È interessata alla condivisione di un messaggio emotivo reso attraverso la scomposizione dinamica dei soggetti, evocando, in alcune opere attuali, spunti formali di derivazione cubista. Gli elementi caratterizzanti le sue opere sono gli effetti prodotti dall’andamento delle linee e dalla fusione intrecciata dei piani, strumenti che delineano i soggetti rappresentati con una costante intensità. Filo rosso di tutta la sua produzione è il confronto dialettico tra tempo e istante, risolta nel rapporto tra l’esattezza dell’attimo raffigurato, fermato, impressionato ma in continuo fluire, e tempo stesso parafrasato per mezzo dello svolgimento che caratterizza l’intera scena.
La sensazione del movimento, data da segni veloci e correlati, è essenziale per la resa dello scorrere dell’azione stessa, che diviene così tangibile pur suggerendo attraverso le oscillazioni delle pennellate atmosfere soffuse e sognanti. Soluzioni tutte che risuonano anche nella scultura, che Michela pratica per un breve periodo preferendo però la plastica pittorica a quella tridimensionale, mai tralasciando la cura delle superfici secondo linee geometriche e movimenti propulsivi.
Motivi che la spingono ed escludere la semplice riproduzione oggettiva della realtà, ed ai paesaggi e ritratti di tipo realistico, preferisce evocazioni dolcemente sospese di quotidianità, entrando quasi in punta di piedi tra gli sguardi complici e sognanti di piccole ballerine danzanti interpretando i vari soggetti con confini mai nettamente definiti, ma correlati in un accordo tra corpo e mondo esterno di enfasi tale da chiarire allo spettatore finale che quel che viene rappresentato non è più un oggetto, ma veicolo di un’idea che coinvolge e sconvolge il sipario che lo circonda.
Francesca Caterina Vetrano
Critico d'arte
Nelle tele di Michela Banfi traspare una grande carica emotiva e una necessità di comunicare attraverso il gesto e il colore. Cromatismi accesi e superfici vibranti caratterizzano le tele della saronnese.
La figura femminile diventa frammentaria ma non perde la sua consistenza fisica, si fa solo più leggera e movimentata seguendo l’andamento dei vortici e delle linee del pennello.
(da ArteVarese 20-01-2010)
Michela Banfi è un’artista impegnata da diversi anni in una ricerca tesa a indagare le proprietà espressive della figura umana, simbolo ed emblema di una condizione universale.
Profondamente e intimamente legata alla tradizione pittorica italiana, Michela Banfi ha maturato uno stile personale capace di mettere in relazione elementi classici e dettagli di estrema modernità, ricreando atmosfere metafisiche in cui reale e irreale si fondono e si confondono.
Muovendosi su più piani di lettura, l'artista invita l'osservatore a calarsi in una dimensione definita da coordinate spaziali e temporali che appartengono al mondo del fantastico e del meraviglioso: luminosi spazi bianchi opalescenti accolgono, come una scena teatrale, personaggi che sembrano provenire da un passato remoto, come se affiorassero alla coscienza da un sogno o da un ricordo. Un graduale disvelamento di pensieri, sensazioni e pulsioni mai sopite che ritrovano vivacità nei colori caldi e sgargianti, nelle pennellate rapide e corpose, nelle graffiature che incidono il gesso ancora fresco lasciando trasparire la materia sottostante.
Un cromatismo acceso e un sapiente accostamento di tecniche pittoriche differenti rappresentano la cifra stilistica di un percorso giunto ad una consapevole maturità, un cammino mosso dalla volontà di cogliere la vera essenza delle cose valicando i confini della realtà sensibile per approdare ai significati e ai valori più profondi dell'esistenza.
Gli affetti, i legami con gli ambienti familiari e le esperienze che conducono l'individuo verso la maturità sono infatti i temi privilegiati dall'autrice, che spesso ricerca metafore esemplificative nel repertorio fiabesco della tradizione popolare. L'interesse per la letteratura per ragazzi e per la rappresentazione simbolica nei disegni infantili deriva dalla sua esperienza di insegnante nella scuola primaria ma anche, probabilmente, dalla condizione personale di donna e di madre. L'artista racconta con piacere di aver iniziato ad inserire nei dipinti i personaggi stilizzati alla maniera dei bambini prendendo spunto dai disegni dei propri figli; disegni conservati con cura nel corso degli anni e poi rielaborati in chiave artistica, aggiungendo un interessante elemento autobiografico allo svolgimento del racconto pittorico.
La mostra presentata a Villa Baragiola intende valorizzare un'artista varesina che si è distinta per originalità creativa, studio metodico e costanza, offrendo ai visitatori un taglio specifico della produzione più recente dela pittrice. “Tracce” è infatti una selezione di quelle opere che maggiormente affrontano il delicato tema dell'identificazione dell'Io attraverso le esperienze che hanno portato alla sua definizione. In queste tele, passato e presente, reale e immaginario, oggettività e soggettività, si rispecchiano l'un l'altro completandosi a vicenda, esortando chi osserva a partecipare attivamente alla definizione del senso compiuto del messaggio racchiuso nei tanti riferimenti simbolici. Un invito, rivolto dall'autrice con grazia e delicatezza, ad abbandonarsi al piacere di contemplare scene di grande armonia, figure femminili che si muovono soavi e leggere, teneri ritratti di bambini sognanti e interni domestici animati da curiosi e accattivanti personaggi di fantasia.
Opere che rivelano un desiderio profondo di comunicare sensazioni piacevoli e rassicuranti, di riportare la mente alla spensieratezza dell'infanzia, alla fascinazione sensuale o all'incanto di certi attimi di vita gelosamente custoditi nel ricordo.
Le composizioni irradiano una gioia che è altro dal disimpegno; rivelano la volontà di affermare con forza uno stato d'animo che l'uomo contemporaneo rincorre affannosamente ma che difficilmente riesce a trattenere: la capacità di cogliere non solo la bellezza della vita ma anche la sua ciclicità, una consapevolezza necessaria per poter guardare al proprio futuro con serenità e ottimismo.
Emanuela Rindi
L’intera opera pittorica presentataci dalla pittrice Michela Banfi è attraversata da un tema forte capace di portarci in quella dimensione del mondo letta e creata dallo sguardo del fanciullo che siamo invitati a riconoscere, proteggere ed amministrare, dentro di noi . questo è il messaggio portatoci dalla emozione che proviamo davanti a queste immagini
Siamo nel fondo dell’anima, il luogo da cui proviene il fanciullo divino, così come lo chiama Jung
Egli lo riconosce come quella componente della nostra personalità in cui risiede il nostro spirito individuale, la scintilla vitale da cui scaturisce l’energia diretta alla costruzione della nostra autentica soggettività.
Jung dice “ In ogni adulto si nasconde un bambino, un eterno fanciullo, una parte interna in continuo divenire, mai compiuta, che richiede cure incessanti, attenzione ed ammaestramento ; è quella parte della personalità che vuole crescere e giungere alla totalità “
Consideriamola la scintilla vitale in ognuno di noi, che non deve mai spegnersi
Kathrin Aspes, analista junghiana di origine svizzera , nel suo libro “ Dalla infanzia al bambino che è in noi “ così commenta
“ Da tempi immemorabili, in tutto il mondo, il bambino è stato il portatore dei nostri desideri più profondi e dei nostri ideali più alti : santità,innocenza, armonia, felicità,piacere, gioco,pace ed eternità . Tutti sono ugualmente proiettati sul bambino che appare nell’arte, nella letteratura, nella mitologia e nelle religioni, benedetto sotto tutti gli aspetti della divinità . Il bambino come simbolo non rispecchia la realtà esteriore, ma piuttosto la realtà interiore della psiche e riflette le speranze, i desideri e le ambizioni cui aspiriamo .“
Per ciò il bambino diviene simbolo di ciò che è nuovo, ancora da venire, spirito del continuo rinnovamento e della rinascita, vitalità nella e della Psiche .
Rappresenta la tendenza alla piena realizzazione della individualità della persona ; scintilla, energia che tutti portiamo potenzialmente dentro di noi e che Michela Banfi così mirabilmente e poeticamente racconta nelle immagini della sua produzione artistica
Questo fulcro di energia vitale e propulsiva vive attraverso le mani di questa artista capace di raccontarcelo nella sua domanda di vita e di mondo,curioso di sapere che cosa c’è oltre, al di là del conosciuto e rassicurante .
Lo sguardo del fanciullo, che non va mai perso dentro di noi e che vede la meraviglia di tutti gli inizi e la meraviglia di ciò che inizia di nuovo, è diretto da una forza vitale e dall’impulso più forte ed irresistibile in ogni essere umano : l’impulso alla autorealizzazione .
Michela Banfi, come una moderna cantastorie, ci accompagna, con passo lieve e profondo assieme,lungo il racconto che si dipana artisticamente davanti a noi : il racconto universale della curiosità, del senso della meraviglia, del piacere del gioco, della apertura mentale, del bisogno di conoscere, dell’entusiasmo, del ridere e del piangere, della danza, della creatività, condizioni nutrite da quel bambino divino dentro ciascuno di noi il quale ci conduce, se incontrato e accolto con rispetto, nella pienezza della maturità e del vivere.
Dott. M. Teresa Pasolini
COMUNICATO STAMPA: MOSTRA SAREMO BAMBINI di MICHELA BANFI
Si inaugurerà sabato 5 novembre, a Palazzo Broletto di Como, la mostra “Saremo bambini” dell’artista Michela Banfi .
Il titolo evocativo scelto dall’artista e l’originalità delle opere esposte evidenziano la ricchezza dell’itinerario artistico ed umano della pittrice.
I soggetti si riferiscono al mondo delle narrazioni e delle fiabe, custode di una sapienza tanto antica quanto profonda, al gioco, ai sogni, a immagini estrose in cui realtà e fantasia si confondono, rappresentati in modo intenso e lieve, come lo sguardo da cui scaturiscono, penetrante ma delicato e poetico. Minuscoli esserini stilizzati, soprannominati dalla pittrice “acari”, un po’ dispettosi, impertinenti e giocosi, completano scherzosamente molte composizioni, quasi a simboleggiare i pensieri improvvisi, ironici e divergenti che si insinuano nella nostra mente razionale e che spesso respingiamo o teniamo celati. L’artista esprime una sensibilità che si richiama all’innocenza infantile, intesa come atteggiamento aperto, curioso, di meraviglia di fronte alla realtà che non è mai univoca e lineare.
Michela Banfi è un’artista che ha saputo coniugare una ricerca artistica elaborata e in continua evoluzione con un percorso interiore teso a costruire una propria umanità piena e fiduciosa verso la vita.
Dopo un periodo di insegnamento nella scuola primaria, si è dedicata esclusivamente alla pittura, con passione e studio costante, sotto la guida del maestro Vanni Saltarelli. Pregevole disegnatrice, acquisisce fin dall’inizio un tratto nitido e sicuro, senza tentennamenti e incertezze. Concentra la sua attenzione sull’uso ed elaborazione del colore, sull’impiego di materiali differenti, si cimenta con tecniche diverse e sperimenta formati disparati. La competenza tecnica connessa a una forte carica creativa ha consentito la maturazione di uno stile personale particolarmente originale. Sfondi monocromatici, spesso bianchi e luminosi, conferiscono risalto alle figure che emergono a volte fluttuanti, a volte rinvigorite da colori caldi e sgargianti. Dai dipinti emana un sentimento di gratitudine verso la vita di cui vengono colte ed espresse le continue possibilità di trasformazione e rinnovamento.
In questa mostra, tra le tante singolari opere esposte sono presenti, una striscia di bambini nel tempo lunga 7 metri, un’enorme luccicante arca di Noè su sfondo blu che salva il prezioso testo del Piccolo Principe, una composizione di 36 piastrelle con riferimenti a famosi pittori, una “Freccia rosa” carica di donne e bambine, in partenza per chissà quale misterioso destino. Nell’angolo dei Pinocchi, 6 tele rappresentano con un’originalità creativa straordinaria, immagini e dettagli del popolare burattino.
L’allestimento nella suggestiva sala del Broletto, valorizza ed esalta l’incanto che traspare da ognuna di queste opere, che possono essere osservate e riosservate, guardate e immaginate come in un caleidoscopico spazio, da cui trarre risonanze interiori che invitano a risvegliare l’energia creativa del bambino riposto in ogni essere umano, in ogni fase della vita.
Fausta Carugati
Mostra di Michela Banfi “Immagina” Il tema della mostra riguarda l’immaginario, ovvero ciò che è privo di corrispondenza con la realtà. Il significato delle opere esposte è coerente con l’intento dell’ autrice: sono dipinti che vogliono liberare la fantasia di chi guarda; in altre parole non suggeriscono un percorso obbligato ma offrono suggestioni. Banfi usa una tecnica particolare: prima prepara un fondo molto denso, quasi materico, poi anziché disegnare la figura, la ricava, incidendo il fondo con la tecnica del graffito e successivamente, in alcune parti vengono aggiunte pennellate di colore per completare la narrazione. Lo sfondo spesso è apparentemente inesistente, ma pur importante all’economia del quadro, perché contribuisce a creare un’ atmosfera irreale. In altre tele invece è quasi dominante perché è l’ambiente che genera la storia. Le figure sono presentate come semplici disegni che mimano il segno infantile. E’ un segno volutamente semplificato, quasi elementare, proprio per evocare la semplicità del mondo infantile. Compaiono spesso figure di contorno (animali, insetti improbabili quali gli acari) A volte invece vediamo figure sospese nell’aria, senza gravità: tipico della visione onirica Il mondo in cui naviga è quello dell’infanzia. Le tematiche sono le favole, con suoi personaggi tipici, quali cappuccetto rosso, pinocchio ecc; gli attori sono quasi sempre i bambini. E’ un mondo che oscilla tra l’irrazionale e l’onirico ma non è mai vacuo. Ma che infanzia è quella descritta da Michela? E’ un mondo protetto: sono bambini che non conoscono la sofferenza, giocano, fanno i funamboli e volano oltre la realtà. Nelle sue tele vive sempre una infanzia felice, immune dalla crudezza della vita. La Pittrice è adulta ed enfatizza il mondo bambino. Che rapporto c’è tra infanzia e adultità? (uso questo neologismo per evidenziare che la cosiddetta età della maturità è anch'essa una fase evolutiva). Quando diventiamo adulti noi comprimiamo, inibiamo il nostro infante e spesso lo soffochiamo con la razionalità. Secondo il comune pensare il mondo dell’adulto non può lasciare spazio al bambino perché è poco razionale. Fortunatamente però ciascuno di noi conserva anche “da grande” una parte bambina. Dico fortunatamente perché è lei che ci spinge, alla fantasia, alla irrazionalità, alla istintualità, al disordine, ma attenzione è anche quella che contribuisce a dare, intuito, estro, evasione, emotività e soprattutto creatività. 2 Nel 1995 Daniel Goleman scrisse “intelligenza emotiva" definendola: “la capacità di motivare se stessi, di perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere simpatici e di sperare" Guai a soffocare la parte infantile perché ci fa ammalare di nevrosi, crea una rigidità emotiva che ci riduce ingabbiati dal razionale. Con ogni probabilità l’aver lavorato per tanti anni con i bambini ha contribuito a valorizzare nella pittrice l’animus del fanciullo. Un quadro in particolare intitolato “Nostalgia” esprime in modo emblematico il vissuto emotivo dell’autrice. E’ raffigurato in immagini istantanee un volto di donna che gioca con i disegni di bambini. Lo sguardo della donna è uno sguardo nostalgico, c’è un mondo infantile che vive nello sfondo, le figure sono piccole perché lontane. Nello sguardo della donna vi è una punta d’invidia ma anche di mestizia, perché c’ è la consapevolezza che è un mondo che sta perdendo.
Dott. Fernando Antonio Spanò
DIFFICILE DIVENTARE SAPIENS
Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, il romanzo per ragazzi scritto da Carlo Lorenzini, in arte Collodi, è stato tradotto in quasi tutte le lingue del mondo.
Del personaggio si sono occupate, nel tempo, tutte le forme di arte, dal teatro, alla danza, alla musica, al cinema nonché l’arte contemporanea.
Ma è stato altresì oggetto di studio nel campo della letteratura, della psicologia, della psicanalisi.
Come mai tanto interesse? Possiamo dire che la spiegazione è nel titolo della mostra “Difficile diventare sapiens”, perché il romanzo oltre che avere un’originalità espressiva è un’allegoria dell’uomo che cresce. Il quadro “Difficile diventare sapiens” evidenzia la difficoltà che ha l’essere umano a leggere la scrittura della vita.
Simbolicamente vediamo che Pinocchio da oggetto apparentemente inanimato (legno) è trasformato da una figura genitoriale (Geppetto) in forma simile a un essere umano (il burattino) e infine in un bambino in carne e ossa (sapiens).
Nel romanzo l’immagine più strepitosa è quella del naso che si allunga con la bugia.
Si dice che la bugia ha le gambe corte. L’essere umano scopre la bugia quando effettivamente ha ancora le gambe corte, intorno ai 4 anni (prima non può perché non è in grado di capire il concetto di vero e falso). A quell’età, quando si è tanto simili ai burattini, la bugia è una tappa importante per sviluppare la propria autonomia, aiuta il bambino a costruire i confini dell’io. Quando dice la bugia ed è creduto capisce di non essere un tutt’uno con la madre: ha costruito un segreto che gli altri non vedono, realizza la separazione psichica dai genitori.
Il naso di Pinocchio menzognero si allunga. Simbolicamente la bugia esprime una forza vitale, che gli permette di competere con il mondo esterno.
Inizia così la fase delle “associazioni primarie” nelle quali convivono insieme emozioni e sentimenti contrapposti quali bene e male, felicità e paura, odio e amore e che ben esprimono l’instabilità emotiva, le incoerenze, le contraddizioni tipiche del bambino.
Alcuni critici parlano dei tre nasi di Pinocchio: uno pedagogico, uno digressivo e uno autobiografico.
Il primo è evidente in tutto il contesto del romanzo, il secondo evidenzia proprio il comportamento derogativo del fanciullo che cresce ed il terzo è autobiografico, nel senso che c’è sempre un po’ di Pinocchio in noi se non c’è Geppetto.
Il quadro “Aspirazioni in bilico” in cui osserviamo Pinocchio sopra un’improbabile scala di libri, rappresenta proprio il concetto di equilibrio instabile tipico di questa fase di crescita.
In “Bugie nello spazio” ove il burattino racconta le bugie addirittura oltre la terra, esprime l’atteggiamento megalomane del bambino perché la fantasia non è ancora domata dalla ragione.
“Eolo e Pinocchio”, in cui vediamo Eolo che soffia sul palloncino di Pinocchio impedendone un volo lineare, evidenzia come il processo di crescita dell’individuo è frutto dell’interazione costante tra il soggetto e ambiente.
Per quanto concerne il quadro intitolato “Leg(n)ami”, gioco di parole che evidenziano la connessione tra il burattino e la materia di cui è fatto, vale la calzante citazione di Benedetto Croce “ Il legno in cui è intagliato Pinocchio è l’umanità”.
Infine il quadro “Sono timido” merita una piccola digressione. In esso è raffigurato il burattino che sbircia, con interesse una ragazzina che passa per strada; evidenzia il primo interesse per l’altro sesso.
Nel romanzo le persone grandi con cui Pinocchio veniva in contatto erano tutte figure maschili (Geppetto, Mangiafuoco, i Carabinieri, il Gatto e la Volpe…) tranne una: La Fata.
La Fata dai capelli turchini vissuta dapprima come estranea, diventa per Pinocchio mamma. Nel libro collodiano La Fata è l’unica donna con cui Pinocchio ha rapporti affettivi.
I biografi riferiscono che Carlo Lorenzini (Collodi) era un uomo molto colto, traduttore, scrittore, umorista e giornalista molto apprezzato, ma non aveva un atteggiamento “adulto” nei confronti dell’altro sesso.
Il suo legame con la figura materna era molto forte.
Suo nipote e biografo Paolo Lorenzini scrisse che finché visse la sua mamma, non si coricò una sera senza chiederle un bacio e la sua benedizione e che spesso sottoponeva al suo giudizio i propri lavori. Peraltro lo pseudonimo “Collodi” era il nome del paese natale della madre.
Il quadro “Sono timido” di Michela Banfi non riguarda l’interesse per la Fata – Mamma, bensì un normale interesse emotivo per una ragazza. Questo quadro quindi si allontana dal vissuto proposto dallo scrittore.
Si tratta quindi di una libera interpretazione o è questo un quadro mendace? Non ho certezze, ma osservo però che … all’ autrice non si è allungato il naso.
Dott. Fernando Antonio Spanò